Una scuola professionale, capace di conferire le competenze necessarie per un inserimento lavorativo, è una prospettiva di doverosa applicazione
Scuola professionale è di fatto una espressione composita, che tenta di amplificare una induzione aggregante tra due aspetti ancora troppo distanti in termini pratici. Del tutto inutile appare concepire i percorsi formativi istituzionali come forme astratte, accademiche, lontane dal senso reale e manifesto, richiesto dai nuovi ambiti lavorativi, liquidi ed in continuo cambiamento.
Per molti dei nostri giovani, le scelte del proprio futuro professionale ricadono all’interno di lassi temporali assai precedenti al conseguimento del primo grande step della maturità. La società, i suoi ritmi e l’invasione debordante dei new media, hanno reso le nuove generazioni più inclini ad un apprendimento concreto. Un incremento di utilità potrebbe risiedere nel concedere un anticipato accesso a strumenti, e competenze, già proiettate verso un futuro inserimento, concedendo l’opportunità di poter coltivare nell’immediato le proprie eccellenze.

A tal proposito, l’approvazione in Senato delle VII Commissione Cultura definisce la possibilità, concessa agli studenti dell’ultimo anno, di scegliere le materie da seguire (tra quelle facoltative), in modo da accentuare l’avvicinamento con il mondo del lavoro e le Università.
La potenziale concretezza di questo accorgimento politico potrebbe rendere più lieve il distacco nutrito con gli altri contesti nazionali, offrendo risorse umane già predisposte a ruoli occupazionali specialistici, in grado di rispondere alle smisurate richieste di lavoratori specifici, settoriali e già formati.

Una scuola professionale è il modo opportuno per facilitare la costruzione di un futuro, che per intere generazioni resta eclissato all’interno di limbi teorici. La resa funzionale del processo formativo è una delle soluzioni opportune alla dilagante disoccupazione giovanile che anima la nostra economia.